Poison & Wine ~ Cap. 2


Non riesco a dormire.
Siamo accampati da un paio d’ore ormai, ma il sonno tarda ad arrivare. Non tocca a me la guardia, potrei semplicemente chiudere gli occhi e lasciarmi andare. In fondo, non temo più la morte da molto tempo, non c’è niente che mi impedisca perdere coscienza cadendo preda dei miei abituali sogni inquieti. 
Eppure non riesco a smettere di guardarlo, sdraiata dove sono, con la testa appoggiata sul dorso di una mano. 
Il suo profilo è perfetto: la fronte, gli zigomi, la curva del naso… e quelle labbra. Sono la prima cosa che ho visto di lui, l’unica che si intravedesse sotto il mantello quel giorno. Le labbra che successivamente mi avrebbero attirata in una giostra di peccati senza fine, conquistando ogni angolo della mia volontà. 
Distolgo finalmente lo sguardo e mi accorgo di aver trattenuto il fiato tutto il tempo. Lo rilascio piano.
— Non riesci a dormire?
Trasalisco, notando gli occhi di Amens puntati su di me. Ero così concentrata sulle sue labbra da non accorgermi che mi stesse osservando.
— No…
Lui annuisce e indica qualcosa con un cenno del capo.
— L’ho preparata prima, prendine un po’. 
Mi metto a sedere e scopro che sta parlando di una tisana. C’è un boccale ancora fumante a pochi centimetri dal mio giaciglio. Mi allungo e lo prendo, annusandone il contenuto. Lo riconosco: è una delle ricette segrete che mi ha insegnato. Ne sorseggio un po’.
Amens non mi guarda più. Ora è concentrato su chissà quale punto dell’orizzonte, la fronte leggermente aggrottata in quell’espressione corrucciata che tanto amo.
Scuoto la testa così di scatto che quasi mi cade il boccale di mano. Perché penso ancora certe cose? Perché sono così debole?
— Sei strana.
Di nuovo, scatto con gli occhi su di lui.
— Che intendi? Lo sai che soffro d’insonnia — mi giustifico.
Lui socchiude gli occhi.
— Ti conosco, Zaffiro. E so che mi nascondi qualcosa. 
Sento il cuore mancare un battito.
— Se ne sei sicuro, perché sono qui con te?
Amens si gira e pianta gli occhi azzurri nei miei, togliendomi il fiato. 
— Perché non puoi nuocermi in alcun modo.
Lo dice con una sicurezza assoluta. L’uomo che mi ha insegnato la strada del sangue, il mercenario senza legami, si fida di me? 
— Se ti tradissi…
Mi mordo il labbro inferiore con furia, facendomi male ma costringendomi a continuare. 
— Se non fossi quella che credi, mi uccideresti?
Amens mi studia in silenzio e per un attimo ho la sensazione che stia per scoppiare a ridere. Non lo fa. Si limita ad un’alzata di spalle.
— Io non credo in niente, Zaffiro — risponde rilassato. — Faccio quello che devo per sopravvivere.
Si sporge verso di me, con un sorriso pericoloso e assolutamente meraviglioso.
— Non mettermi alla prova.
Sento un brivido risalirmi la schiena e in quell’esatto momento ho la certezza che mi ucciderebbe. Amens è una fiera, selvaggia e crudele, non c’è spazio per la pietà in lui. 
Lentamente, poso il boccale e mi stendo di nuovo dandogli le spalle. Mi raggomitolo nella coperta, cercando di trattenere un po’ di calore. Ma scopro ben presto che quando il freddo proviene da dentro non c’è coperta o fiamma che riesca a scaldarti davvero. Ci vuole un po’ perché la tisana faccia effetto e prenda sonno, ma infine ci riesco. Un’altra notte di incubi. 

Alveim non è cambiata dall’ultima volta che ci sono stata. Il solito groviglio di persone e banchi del mercato, la solita musica, il solito caos. So che questo disordine innervosisce Amens e non mi stupisco di trovare la sua mano all’interno del mantello, probabilmente a stringere un coltello. Non posso fare a meno di imitarlo. È un riflesso incondizionato: il maestro si nasconde, io mi nascondo, il maestro impugna l’arma, io faccio altrettanto, il maestro attacca… io uccido.
Giriamo l’angolo e d’un tratto Amens mi spinge contro il muro, mi copre con la sua figura, schiacciandomi e avvicinandosi così tanto da poggiare quasi le labbra sulle mie. Sento il calore salirmi alle guance.
— Sta’ zitta — mi intima tappandomi la bocca con due dita. 
Io sono immobile, cauta anche nel respirare. Finché non mi lascia e sento di aver perso qualcosa, un pezzo di me.
Amens si guarda intorno e sbuffa.
— Ci siamo risparmiati qualche grana. Non avevo la minima voglia di ingaggiare uno scontro appena arrivati.
Aggrotto la fronte.
— Una vecchia conoscenza — spiega lui, vago.
Non faccio domande, anche perché non sono sicura che riuscirei a parlare. Sento ancora la sensazione della sua pelle a contatto con la mia. Per fortuna, quando riprendiamo a camminare le mie gambe non tremano. Mi passo una mano sul viso e sospiro brevemente. 
Amens non parla finché non arriviamo davanti una porta con segni di bruciatura che formano uno strano simbolo. Nessuno riuscirebbe a ricostruirne l’immagine senza averla vista prima. Ma io la conosco. E la disprezzo.
— Chi è là? — chiede una voce.
— Amens.
Non c’è bisogno di presentazioni. La porta si apre e noi spariamo all’interno.

— Benvenuto, amico mio.
La vista di Dorhan mi provoca un moto di disgusto che riscalda ogni centimetro della mia pelle. Un mercenario spietato, un assassino, un uomo senza onore. 
C’è una differenza abissale fra lui e Amens. A partire dall’aspetto. Dorhan è alto, muscoloso e la sua pelle è abbronzata, quasi bruciata in alcuni punti. Ha denti bianchissimi e un solo occhio nero e sfuggente, come un serpente. L’altro è coperto da una benda scura. Le braccia e il petto, che si intravede dalla camicia aperta, sono coperti di cicatrici. Tutti conoscono la storia di quelle ferite. Una per ogni omicidio. Auto-inferte. Ho davanti un mostro.
— Non siamo mai stati amici, Dorhan.
La voce di Amens placa momentaneamente il mio disgusto, ma mi mette in allarme. Il tono non presagisce nulla di buono. 
Un uomo alla mia destra si muove, ma prima che riesca a fare un solo passo Amens scoppia in una risata fredda.
— Non ci proverei fossi in te.
Poi lo vedo. Un sottilissimo filo rosso intorno al collo dell’uomo. Quando lo nota anche lui, impallidisce. Sorrido. È un trucco che conosco bene. La firma di Amens.
Dorhan fa cenno all’uomo di indietreggiare e quando batte le mani tutti escono dalla sala. Siamo soli. Due mercenari e la ragazza schiava del demone. Non un briciolo di luce nella stanza. Se ci penso, fatico a respirare. 
— Allora — inizia Amens. — Perché siamo qui?
Dorhan sorride feroce. — Perché sei qui. Non ho invitato la tua ragazza.
Mi irrigidisco. Il suo sguardo è così intenso che mi sento nuda. Mi prende il viso con una mano e mi studia voltandomi a destra e a sinistra. Per pochi istanti, prima che Amens gli blocchi il polso minaccioso. Non dice una parola, ma Dorhan non ci pensa due volte a lasciare la presa.
— È un peccato. Volevo darti un vantaggio.
Amens aggrotta la fronte.
— Un vantaggio?
Dorhan sorride con evidente soddisfazione. E mi indica.
— Su di lei.
Sento il cuore accelerare i battiti, le mani sudate. Guardo Amens, ma lui ha gli occhi fissi sull’altro mercenario.
— Dovresti sceglierti meglio le amanti. E soprattutto… smettere di portartele dietro come cagnolini. Dopo un po’ diventano rabbiose e si rivoltano contro il proprio padrone. Come questa qui.
Stringo i pugni e non riesco più a trattenermi. 
— Chiudi quella bocca!
L’uomo alza un sopracciglio e scoppia a ridere. Amens è ancora immobile, l’azzurro degli occhi intorbidito da quella che sembra preoccupazione. 
Poi Dorhan scatta in avanti e mi schiaffeggia con una tale forza da scaraventarmi a terra. Sbatto con il naso sulla roccia e sento il sangue bagnarmi le labbra. Tossisco, aspettando che i lampi bianchi nella visuale e il dolore si plachino un po’. Poi alzo la testa e vedo una scena che mi terrorizza.
I due uomini si fronteggiano, ognuno con il coltello puntato alla gola dell’altro. Amens è scuro in volto, Dorhan rabbioso.
— Ti ho convocato per avvertirti. Se mi volti le spalle, sarai solo.
— Io sono solo.
— E sarai anche morto se non mi ascolti.
Amens non risponde e l’altro sembra prenderlo come un invito a continuare.
— Qualcosa si sta muovendo. Mi sono arrivate strane voci di un attacco. Parlano di una donna. 
— Il mondo è pieno di donne.
— Una donna dai capelli rossi che combatte come una furia.
Trasalisco. So di chi sta parlando. Tutti conoscono quel nome. Abigail.
— Allora smetti di preoccupartene. È morta — asserisce Amens.
Dorhan abbassa il coltello. — Non più morta di me e te. È stata avvistata questa mattina insieme al principe.
Prima ancora che Amens volti la testa, so già che sta per farlo. Nei suoi occhi azzurri vedo un vortice di emozioni che si comprime fino a lasciarne una in superficie: dubbio.
— Le fonti sono sicure?
— Assolutamente — conferma Dorhan.
E in quel momento so che è finita. Non ho più scampo. Se Dorhan è venuto a sapere quello che ho fatto, non avrò più un posto dove nascondermi.
Amens ha i muscoli della mascella contratti e quando torna a concentrarsi su Dorhan noto che stringe il coltello convulsamente.
— Falla portare via.
Mi manca il respiro.
Dorhan annuisce e urla un nome rivolto alla porta. Un paio di uomini rispondono alla chiamata. 
— Portatela nelle gabbie.
Scuoto la testa, mentre i due mi prendono per le braccia.
— No, aspettate!
Amens non mi guarda neanche.
— Non ti tradirei mai, devi credermi!
Cerco di divincolarmi mentre vengo trascinata via.
— Non farlo! Ti supplico… Amens!
L’eco delle mie urla si perde nel corridoio e l’ultima cosa che vedo prima che la porta si chiuda è un lampo di accecante blu.

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