Il mistero di Lanterville ~ Cap.3


— Lanterville — asserì Yvonne con una calma irritante. Teneva gli occhi chiusi da un po'.
La lunga pausa che seguì le sue parole diede il tempo a Darren di voltarsi verso Raven, muovendo l'indice in circolo vicino la propria tempia. La domanda muta era chiara: "le manca qualche rotella?".
Thalia gli diede un calcio da sotto il tavolo.
— Che cosa stai...? — iniziò Leon, ma proprio in quel momento Yvonne aprì gli occhi.
— Non vi siete chiesti il perché di questo nome? — domandò.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. — Avremmo dovuto? — chiese ironico.
— Per giungere fino a questa torre avete attraversato una parte del villaggio. E ognuna delle case che vi siete lasciati alle spalle aveva un particolare che a quanto pare non avete notato.
Fu la volta di Darren. — Stiamo giocando agli indovinelli? — chiese spazientito.
Leon gli rivolse uno sguardo eloquente e il ragazzo tacque, non senza prima aver sbuffato sonoramente.
Yvonne gli rivolse un'occhiata distratta. — Ti dispiacerebbe andare verso la porta?
— Mi stai buttando fuori?
— No, ti sto solo chiedendo di aprire la porta.
L'arciere aggrottò la fronte e guardò Leon. L'altro non si mosse.
— Vado io — intervenne Raven con voce dura.
Si alzò e raggiunse l'entrata. Quando fu sull'uscio, tirò la maniglia.
Bastò un solo momento perché una densa nebbia grigiastra penetrasse nell'edificio. Raven indietreggiò presa alla sprovvista e Thalia scattò in piedi, impugnando il bastone magico.
Yvonne la fermò prima che potesse invocare il suo incantesimo: — Fermati, maga! È una nebbia incantata, ma non ci farà alcun male.
La bionda guardò l'amica che la rassicurò annuendo.
— Raven, da' un'occhiata fuori.
La ragazza ubbidì, ma i suoi occhi non colsero nulla aldilà del proprio naso.
— Non si vede niente — dichiarò. — Eppure quando siamo arrivati...
— La nebbia era alta anche allora, solo che non potevate scorgerla. Ho fatto innalzare una barriera di protezione che ha effetto fino al tramonto. Giunta la sera, viene annullata.
— Ancora magia... — sibilò Darren. — Vorrei sapere chi crea illusioni tanto elaborate. Dev'essere uno stregone potente e la cosa non mi piace.
Yvonne scosse la testa. — Nessuno stregone — dichiarò. — Sono state le Sacerdotesse di Shavia.
Leon e Darren si guardarono, Raven spalancò gli occhi e Thalia li chiuse.
— Non puoi averlo fatto... — mormorò la rossa avvicinandosi al tavolo.
Yvonne si alzò in piedi, chinandosi in avanti e poggiando i palmi sulla superficie legnosa. — Non è il momento di parlare di questo.
— Dicevi che non avresti seguito le orme di tua madre.
— Raven...
— L'avevi promesso!
— Ora basta!
Raven ansimò, sbattendo una mano sul legno e abbassando la testa, la mascella contratta. Respirò a fondo un paio di volte, nel silenzio della stanza.
— Non sei la persona che conoscevo. Tu non sei Yvonne... — mormorò con voce rotta. Poi alzò gli occhi color nocciola su di lei, lo sguardo pieno di tristezza. — Non siamo i primi a cui hai chiesto aiuto, non è così? Ma nessuno ha osato immischiarsi nelle faccende dell'Ordine. — La sua voce si colorò di una sfumatura amara. — Mi hai voluta qui per essere sicura che l'Accademia non si tirasse indietro come gli altri. Soltanto per questo.
Si lasciò cadere sulla sedia più vicina e nascose il viso fra le mani, mentre Darren accorreva al suo fianco.
Nel frattempo, Leon aveva puntato l'attenzione su Thalia. La maga era voltata verso Raven, ma i suoi occhi azzurri sembravano guardare tutt'altro. Fu proprio lei ad intervenire.
— Tempo fa l'Accademia ha ricevuto una richiesta dall'Ordine, prontamente rifiutata. Siamo partiti per questa missione convinti che non avesse niente a che fare con quella missiva, ma ci sbagliavamo. — spiegò con un serietà che usava raramente. — La procedura in questi casi è semplice: lasciarsi alle spalle questo posto e rinchiudere te nelle segrete di Blackborne.
Yvonne non sembrò intimidita dalle sue parole e la cosa destò un filo d'irritazione nel cuore di Leon.
— Ma le cose si sono complicate quando Raven ha messo piede qui dentro. Ora deve scegliere: lasciare un'amica al proprio destino, oppure trasgredire le regole dell'Accademia — aggiunse..
Ancora una volta, Yvonne non rispose.
Fu Darren a rompere l'apparente quiete. Si alzò in piedi di scatto, scoprendo i denti in un ghigno disgustato.
— Sei una vera bastarda — girò attorno al tavolo e raggiunse Yvonne, che indietreggiò quando lui le si fece vicino. Molto vicino. Il suo volto si fermò a un palmo da quello della ragazza. — Se dipendesse da me, a questo punto saresti legata e imbavagliata — minacciò con i canini scoperti. — Ma dato che non posso sfiorarti a causa di Raven, mi limiterò ad un avvertimento. — Si chinò a sussurrarle nell'orecchio. — Se qualcosa va storto in questa storia, qualunque cosa... ti uccido.
Poi si allontanò, poggiandosi al tavolo a braccia incrociate.
Raven intanto sembrava tornata in sé e osservava la scena con le mani intrecciate poggiate sul legno.
— Le Sacerdotesse di Shavia — iniziò con voce piena di astio. — Un ordine votato alla stregoneria, che sacrifica ragazze innocenti in cambio di protezione e potere. Abbiamo accettato un incarico da delle assassine.
Yvonne, ancora provata dalla minaccia di Darren, si scurì in volto. — Non è affatto così. L'Ordine non sacrifica le ragazze, sono loro ad offrirsi in dono.
La rossa rise senza gioia. — Hai cambiato idea dall'ultima volta che ne abbiamo parlato. Le trovavi disgustose e...
— Sta' zitta!
Per la prima volta, i ragazzi videro qualcosa di diverso dalla solita calma piatta negli occhi chiari di Yvonne. Sembrava... spaventata. Ma durò un solo attimo. Quando riprese a parlare era tornata tranquilla.
— Ci sono cose che non sai dell'Ordine, cose che ho imparato in questi ultimi anni.
Raven si alzò in piedi di scatto.
— E ci sono cose che non sai di me! — esclamò con rabbia. — Hai scelto di votare la tua esistenza ad un culto di sangue, ma io no. Sono una cadetta di Blackborne, combatto per la giustizia. Cosa ti fa pensare che sarei disposta a voltare le spalle a tutta la mia vita, a ciò in cui credo, per aiutare una come te? Un'assassina?
— Io non...
— Cosa? Non hai mai ucciso nessuno? Pensi davvero che solo il conficcare un coltello nel ventre di qualcuno possa renderti un'assassina? Restare a guardare, prendere parte a quei riti, ti rende colpevole allo stesso modo. Hai le mani sporche di sangue, Yve.
— Non chiamarmi in quel modo! — urlò Yvonne, fuori di sé.
L'altra la scrutò attentamente, poi raddrizzò la schiena, fece un cenno ai compagni e si avviò verso la porta. Sulla soglia, mentre Thalia, Leon e Darren si affrettavano a raggiungerla, aggiunse qualcos'altro.
— Alloggeremo alla locanda. Ho bisogno di tempo per pensare. Non cercarmi.
Poi sparì nella nebbia.

— Cavolo, non si vede un accidenti di niente! — si lamentò Darren.
Erano fermi a pochi passi dalla torre.
— Come fa la gente a vivere in un postaccio del genere?
Leon sospirò. — Non credo sia sempre stato così. Deve far parte del problema per cui ci hanno convocati. E che non sono sicuro di voler conoscere a questo punto.
— Questo posto porta guai — aggiunse Thalia. — Dovremmo andarcene e basta.
— Già — annuì l'arciere. — Quella tipa avrà anche le fattezze di una ninfa dei boschi, ma emana un'aura da brivido. Avete visto i suoi occhi?
— Credo di aver capito cosa intendesse — intervenne Raven improvvisamente.
— Che cosa? — chiese la maga.
— Quando ha detto che le case avevano qualcosa in comune. Guardate lì.
Indicò una direzione, ma si accorse che non potevano vederla, così sospirò: — Le luci rosse.
Gli altri tre ci misero qualche attimo a capire.
— Ma certo! — esclamò Thalia. — Le lanterne!
— Ma non mi dire — ghignò Darren. — Si chiama Lanterville perché ogni casa ha una lanterna sull'uscio? Originale.
— Non sarà originale, ma è funzionale allo scopo — disse Leon. — Se ogni casa ne ha una, possiamo orientarci. Ren, hai studiato meglio la piantina, da che parte dovrebbe essere la locanda rispetto al portone d'ingresso?
Il ragazzo ci pensò su un attimo. — In fondo, sulla destra.
— La torre è a metà strada, quindi dobbiamo seguire le luci per un tragitto abbastanza breve.
Assentirono in coro e tutti insieme iniziarono a camminare. La traversata avvenne in perfetto silenzio, tranne rare occasioni in cui si scambiarono pareri sulla giusta direzione. Quando arrivarono all'altezza della locanda, la riconobbero all'istante: la luce era molto più intensa delle altre.
— Dev'essere questa — dichiarò Leon.
— Qualunque cosa sia, io entro — disse Darren per poi dirigersi verso la fiammella.
Bussò un paio di volte e aspettò. Nessuno rispose, quindi riprovò. Al terzo tentativo gridò spazientito: — Insomma, preferite aprire o buttiamo giù la porta?
— Non mi sembra il modo giusto per... — iniziò Thalia, ma fu interrotta dal cigolare della porta.
— Dicevi? — la stuzzicò l'amico.
Lei sbuffò.
Li accolse una donna sulla cinquantina, in carne, con le gote arrossate e una cuffia consunta sulla testa. Non aprì del tutto la porta, osservando terrorizzata la nebbia che penetrava all'interno in rivoli densi.
— Desiderate? — chiese titubante.
— Accademia di Blackborne, vorremmo un paio di stanze.
La donna rimase muta.
Raven sospirò esasperata e si fece avanti.
— Siamo ospiti della figlia del Governatore. Se non ci credete, non vi resta che avventurarvi fuori e andare a chiedere delucidazioni — disse.
La donna impallidì e si fece da parte. La ragazza si infilò dentro, seguita dagli altri.

L'interno era accogliente e caldo, ma quasi deserto. Gli avventori occupavano sì e no un paio di tavoli.
— Desiderate mangiare qualcosa? — chiese la locandiera.
Leon si fermò ad ordinare, mentre Thalia, Darren e Raven prendevano posto a un tavolo appartato sulla destra della sala. Appena si furono sistemati, notarono che i presenti li fissavano, chi con curiosità, chi con paura o astio.
— L'ospitalità di questo posto migliora sempre di più — sibilò Darren.
Thalia si strinse nelle spalle. — Tu non saresti diffidente se non potessi uscire di casa a causa di un incantesimo?
— E se avessi una setta di assassine come concittadine? — aggiunse Raven con una punta di disgusto.
Leon intanto si era unito a loro.
— A proposito — asserì l'arciere. — Pare che tu ne sappia molto più di noi su questa storia. Illuminaci.
La locandiera depositò sul tavolo cinque boccali di idromele. La rossa ne sorseggiò un po' e apprezzò il fatto che fosse dolciastro, poi iniziò a parlare.
— L'Ordine di Shavia accetta soltanto bambine con il dono della magia, o discendenti di maghe del culto, istruendole su come compiacere la Dea — spiegò. — Passano tutta la vita ad accrescere il loro potere e di solito si fermano in un luogo, rendendolo sicuro e impenetrabile.
— Non mi sembra così male — intervenne Leon.
Raven sorrise cupa. — Anche la pace ha un prezzo, dovresti saperlo. Perché la Dea protegga il luogo e doni loro conoscenza, le sacerdotesse sacrificano una novizia ogni anno, sottoponendola ad un rito di iniziazione che la priva della vita e incatena il suo spirito all'Albero del Vidyr, impedendogli di trovare la pace. Più è alto il numero di spiriti legati all'albero, più l'incantesimo di protezione del luogo sarà potente. E così l'Ordine.
Al termine della spiegazione, i ragazzi rimasero in silenzio, sorseggiando ognuno la propria bevanda. Infine Thalia trovò il coraggio di parlare.
— Se l'albero protegge la città, come può lasciare che si alzi questa nebbia? — chiese.
— Non ne ho idea. Il potere dell'albero dovrebbe essere impossibile da contrastare, se non da una nutrita congrega di stregoni.
— E non mi pare ce ne siano in giro — asserì Darren. — Non so se esserne felice o meno — ironizzò giocando con il manico del suo boccale.
Leon si sporse per sfiorare la mano di Raven. — Che cosa intendi fare? — chiese piano. — Vuoi rimanere ad indagare?
La ragazza prese un lungo respiro. — Non ne sono sicura — dichiarò.
— Yvonne non è più la stessa. Un tempo non avrebbe mai accettato di entrare a far parte dell'Ordine. E poi, suo padre...
— Suo padre? — chiese Thalia.
— Sì, lui... era uno stregone molto potente. L'ha abbandonata quand'era solo una bambina, preferendo i suoi studi a lei. Ed ora spunta fuori che è il Governatore di Lanterville. Tutto questo non ha senso.
Darren sbattè il boccale semivuoto sul tavolo, spruzzando qualche goccia di bevanda intorno.
— Non so voi, ma ho una certa voglia di andare in fondo a questa storia. L'Accademia non approverà, ma possiamo evitare che la voce raggiunga Blackborne.
Raven incrociò i suoi occhi rossi e rimase colpita dalla rabbia che vi lesse. — Non devi farlo per forza.
— Credi voglia farlo solo per te? Ti sbagli. Lo faccio perché mi infastidisce essere preso in giro da un gruppo di sacerdotesse che giocano a fare le dee.
Leon emise uno sbuffo di assenso. — Effettivamente è quantomeno irritante essere bloccati qui a causa di... un albero.
Thalia ridacchiò e persino Raven non poté fare a meno di sorridere.
— Siete due idioti — asserì dando una gomitata a Darren.
Lui si strinse nelle spalle e bevve l'ultimo sorso dal boccale.
— Quindi è ufficiale, siamo in missione? — chiese.
La rossa scorse lo sguardo sulla sala e si fermò ad osservare le fiamme che crepitavano nel camino. Ripensò alla lettera di Yvonne, alla freddezza con cui l'aveva accolta. Sentì una fitta al cuore e sospirò pensierosa.
Cinque anni a Blackborne le avevano insegnato a scegliere con cura le proprie battaglie. C'erano cose per cui valeva la pena combattere e cose che era meglio lasciare com'erano. La scelta finale spettava a lei.
— Inizierei con una visitina ad un certo albero — propose con un sorriso di sfida.
Darren ghignò soddisfatto. — Questo si chiama parlare.

Capitolo 4
20 Gennaio 2016

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